L’opera è costituita da un tavolo verde e asettico (come quello di una sala operatoria) su cui sono posti in ordine quattro ferri da calza visibilmente affilati, e nasce dalla necessità di raccontare la violenza dell’aborto clandestino come pratica che non soltanto infierisce sul corpo, ma che costringe la donna alla tortura per non subire le più gravi conseguenze sociali di un aborto riconosciuto.
Un oggetto di uso quotidiano come il ferro da calza può rivelarsi pericoloso e minaccioso, suggerendo tutta una serie di rimandi al ruolo della donna, al controllo cui è sottoposta, nonché ai rischi che corre specialmente nel luogo tradizionalmente a lei riservato dalla storia per lungo tempo: la casa.